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I falsi miti sul cloud: differenze e fornitori

I falsi miti sul cloud: differenze e fornitori

I falsi miti sul cloud: differenze e fornitori

I falsi miti sul cloud: differenze e fornitori

Siamo arrivati alla fine di una serie di articoli legati al mondo del cloud. Come ricorderete siamo partiti dal “ricettario della strategia cloud” per poi iniziare a sfatare i miti e le credenze legate al cloud computing ed ai suoi servizi collegati. Chiudiamo il capitolo con due “falsi miti” comuni e diffusi che, però, non hanno alcun fondamento scientifico e tecnico.

“Hosting e Cloud computing sono la stessa cosa”

Questo è un tema su cui si genera spesso confusione è proprio relativo alla differenza tra hosting e cloud computing. Questi due servizi vengono spesso confusi, nonostante tra i due esistano delle fondamentali differenze.

L’hosting, in particolare, è un servizio offerto da un service provider che ospita e fa funzionare i server fisici su cui si appoggiano i sistemi aziendali o degli enti pubblici (ad esempio i siti web e le applicazioni). I server messi a disposizione dai service provider possono essere dedicati, ovvero di esclusiva pertinenza dell’azienda o dell’ente, o condivisi con altri utenti, ma in entrambi i casi il soggetto che acquista il servizio ha diritto ad una quantità precisa di banda e spazio di archiviazione. Le aziende ed enti possono inoltre decidere se optare per un servizio di collocation, che consiste nel posizionare un server di proprietà presso il data center di un service provider.

Il cloud computing, oltre ai servizi di hosting, offre anche risorse (sia hardware che software) on demand e personalizzabili che si possono utilizzare al consumo a seconda delle necessità puntuali dell’utente. I servizi offerti in cloud sono infatti scalabili sia in aumento che in diminuzione, permettendo agli utilizzatori di poter affrontare anche un picco momentaneo di traffico senza la necessità di dover sottoscrivere servizi aggiuntivi.

Il cloud computing inoltre, a differenza dell’hosting, è un’infrastruttura a service, ovvero permette di utilizzare risorse hardware e software senza necessita di acquistarle o svilupparle.

Un’altra fondamentale differenza tra cloud e hosting consiste nel fatto che i servizi e le applicazioni offerte dai cloud provider seguono un processo di continua innovazione, crescendo e adattandosi alle esigenze del cliente. Questo è uno dei motivi per cui gli utenti (aziende ed enti pubblici) che si affidano ad un hyperscaler vengono definiti “partner”. Aziende ed enti che utilizzando servizi cloud, in particolare se forniti da operatori di grandi dimensioni, non si limitano a svolgere un ruolo passivo ma divengono comprotagonisti nello sviluppo e nella crescita dell’ecosistema di servizi di cui entra a far parte.

L’approccio multicloud

Ultimo ma non per ultimo: “Una volta scelto un fornitore di servizi cloud è impossibile cambiare”. Come se il cloud computing generi necessariamente un effetto lock-in dei soggetti fruitori nei confronti dei cloud provider. Infatti, sebbene il rischio di rimanere vincolati al proprio fornitore di servizi sia comune a molte soluzioni digitali e sia possibile anche nel caso del cloud computing, ciò non significa che i soggetti che scelgono di utilizzare servizi cloud non possano adottare soluzioni per evitare di rimanere vincolati al proprio fornitore. Uno degli approcci utilizzabili è quello di utilizzare più di un fornitore di servizi cloud.

L’approccio multicloud, pur rappresentando un maggior costo per l’utente, può offrire all’utente la possibilità di non affidare l’intera struttura digitale della propria organizzazione ad un unico soggetto, diminuendo il peso di una singola piattaforma sulle scelte aziendali. Utilizzando un sistema multicloud è possibile utilizzare più ambienti di cloud pubblico o privato, ovvero una combinazione dei due.

Nella pratica un utente che decide di utilizzare un approccio di questo tipo può scegliere di affidare la propria infrastruttura IT o porzioni di essa a cloud provider diversi. La possibilità di utilizzare un approccio multicloud si lega ad un altro aspetto da non trascurare, ovvero quello relativo all’utilizzo di architetture open standard interpretabili che permettono una transizione semplice tra diverse piattaforme cloud.

Cos’è uno standard aperto?

Uno standard aperto (esempi celebri ne sono i linguaggi XML, SQL e HTML) ha tra le sue principali caratteristiche la possibilità di essere liberamente adottato, implementato e aggiornato. Il paradigma dell’open standard si riferisce infatti ad un formato o protocollo che, oltre ad essere soggetto ad una completa valutazione pubblica, è privo di licenze (in ogni sua componente) e disponibile per chiunque.

Gli standard aperti sono inoltre, nella maggior parte dei casi, gestiti da una fondazione composta da tutte le parti interessate al progetto. Questo fa sì che si possano creare e far rispettare regole comuni riguardo aggiornamenti o modifiche che gli utenti possono apportare. In questo modo è possibile garantire che lo standard mantenga qualità ed interoperabilità. Utilizzare uno standard aperto, o addirittura open source3, all’interno di un settore come quello del cloud computing, permette quindi di prevenire eventuali affetti lock-in. Inoltre, l’interoperabilità delle piattaforme cloud fa sì che, nell’ottica di offrire al partner i migliori servizi presenti sul mercato, i provider continuino a creare nuovi servizi e ad aggiornare quelli esistenti al fine di offrire la migliore esperienza di utilizzo possibile.

Sono stati interessanti o di ausilio gli articoli sul cloud computing? Ne siamo certi, ma se vuoi ricevere più informazioni sull’argomento o hai nuovi spunti da darci e di cui parlare, puoi contattare Hecate. Aspettiamo di leggere le vostre richieste.

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